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Recto e verso: ossia, il diritto e il rovescio di un foglio. Beatrice Massaza, titolare dell’azienda agricola Santissima Annunziata di San Vincenzo a Livorno, spiega che queste due parole indicano “le pagine del libro, la destra e la sinistra che non possono esistere l’una senza l’altra”. Ma dietro questa semplice espressione si nasconde molto, molto di più. Perché Recto Verso è il nome di un progetto virtuoso portato avanti da Beatrice stessa che, a fine novembre ha vinto il premio nazionale Agro-Social: seminiamo valore di Confagricoltura e del Gruppo JTI Italia (Japan Tobacco International), che insieme puntano a promuovere il territorio e a investire nell’agricoltura sociale.
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L’idea è di formare 85 detenuti dell’isola-carcere di Gorgona, in Toscana, all’antichissima arte dell’olivicoltura per fare sì che, una volta reimmessi in società, siano figure esperte che possano trovare un lavoro. Quindi, recto verso perché “da una parte c’è una società e, dall’altra, una società completamente diversa che è quella dei detenuti privati della libertà. Il mio obiettivo è proprio quello di creare un recto verso, perché sia indispensabile per le aziende assumere questo personale specializzato e altrettanto per i detenuti portare avanti un percorso di formazione per uscirne al meglio” conclude Beatrice.
Ed è proprio lei a raccontarci del suo progetto, di un olio buono (e bello grazie a chi lo produce) e della Gorgona, un’isola dove uomo e natura convivono per creare qualcosa di davvero unico.
Recto Verso, il progetto di agricoltura sociale che affonda le sue radici tra la terra e il mare
Recto Verso poteva nascere solo grazie a una persona speciale e in un posto altrettanto unico. Beatrice è da anni impegnata nel sociale, ma questo progetto è forse quello che le risponde di più: “un po’ perché ci sono arrivata con la maturità e le esperienze precedenti, un po’ perché coniuga due temi che sento molto: agricoltura e ambito sociale”, come ci racconta. Un posto speciale, invece, perché la Gorgona è un’isoletta che si trova a 34 chilometri dalla costa di Livorno e conta solo 220 ettari di superficie: è la più piccola dell’Arcipelago toscano e l’ultima isola-carcere italiana. Un luogo pressoché incontaminato, dal passato agricolo importante, dove la natura cresce maestosa e selvaggia.
“Il progetto è nato da un amore per la Gorgona” inizia a raccontarci Beatrice. “Sono andata sull’isola insieme a un tecnico di Apot-Associazione produttori olivicoli toscani, che mi chiese in qualità di frantoiano esperto se potessi andare a vedere il loro frantoio per dare un parere. Arrivata lì, ho scoperto un grande potenziale, perché sull’isola c’era già un percorso di agricoltura ben avviato, che riguardava ad esempio anche il vino. Inoltre, lo stesso penitenziario stava facendo tanto, perché c’era un orto e i detenuti coltivavano la terra”.
Beatrice ha intuito che ci fosse la possibilità di fare molto di più di quello che già stavano portando avanti. La svolta è arrivata l’anno successivo, quando è uscito il bando di Confagricoltura e JTI Italia dedicato a progetti di agricoltura sociale. Beatrice non ci pensa due volte e decide di partecipare: “l’ho visto come una risorsa buona per trovare dei fondi, perché è un progetto che ne richiede molti”. E ci ha visto giusto perché a novembre scorso è arrivata la bellissima notizia della vittoria.
“Questo riconoscimento è fondamentale per due motivi: uno per le istituzioni che me l’hanno dato, quindi il fatto di avere loro al mio fianco è per me molto importante, perché ho delle grandi realtà con cui interagire e con cui confrontarmi; l’altro è l’aspetto economico, che non è poco. Soprattutto in un momento difficile come questo e in una realtà difficile come quella del penitenziario, perché non c’è una sensibilità nei confronti di certe categorie sociali in Italia, perciò avere la possibilità di aiutarli è importante”. Ma l’intenzione di Beatrice era quella di partire a prescindere dalla vittoria: “Se non avessi avuto dei fondi sarebbe stato molto più difficile, ma avrei cercato comunque di portare avanti il progetto”.
Investire sulla formazione per crescere (bene) insieme
“Una crescita di qualità e benessere si verifica soltanto se si cresce tutti insieme. Ma per crescere tutti bisogna che tutti siano messi nelle stesse condizioni di conoscenza, competenze, informazioni” spiega Beatrice. In cosa consiste, quindi, il progetto? Con la collaborazione del penitenziario di Gorgona, Beatrice ha intenzione di formare 85 detenuti per farne frantoiani esperti. La formazione inizia direttamente sull’isola, dopodiché alcuni verranno sulle coste dove, grazie anche ad Apot-Associazione produttori olivicoli toscani, è stata creata una rete di aziende interessate a partecipare e ad attivare percorsi formativi e di inserimento lavorativo. Da una parte, quindi, i detenuti avranno la possibilità di trovare un lavoro remunerato, dall’altra invece le aziende avranno a disposizione manodopera specializzata, in un settore dove invece c’è carenza perché sono in pochi a spendere tempo, soldi ed energie per formare qualcuno per un impiego che magari dura solo un paio di mesi, come ci spiega Beatrice.
Una formazione che però è a 360°. Hanno iniziato con un fuori progetto prima della vincita del bando per occuparsi della raccolta e della frangitura delle olive, mentre “ora stiamo facendo lezioni per quanto riguarda le potature, poi andremo avanti questa primavera con le concimazioni e cercheremo di fare tutto secondo un protocollo biologico perché è facile sull’isola riuscire ad andare in questa direzione”. A questo proposito, verranno anche realizzati dei video tutorial che diventeranno materiale didattico importante, sia per quelli che verranno dopo, sia per creare una web tv che sarà accessibile a chiunque vuole imparare, ad esempio, come si procede con la potatura degli ulivi.
“Poi cominceremo anche le prove di assaggio” racconta la proprietaria dell’azienda agricola, “perché è importante che sappiano riconoscere il prodotto che ne deriva, anche per raccontare l’olio al meglio”. Infatti, l’obiettivo è quello di fare formazione non solo sull’olivicoltura ma anche sulla comunicazione e sul marketing, dalla creazione delle etichette fino alle strategie di vendita, per descrivere un prodotto di qualità reso ancora più speciale. “Vogliamo cercare di colmare quel gap comunicativo che esiste nel mondo dell’olio rispetto ad esempio quello del vino. L’olio è un po’ il parente povero, considerato solo come condimento e non come alimento. E invece formare persone che possano esprimere tutto questo e indirizzare il consumatore verso scelte più consapevoli non fa che accrescere ancora di più il livello della qualità”.
Agricoltura sociale come uno scambio
Beatrice ha un’idea precisa: per lei l’agricoltura sociale non è questione di fare beneficenza. Si tratta di uno scambio che deve portare un arricchimento a entrambe le parti. L’obiettivo a breve termine è, quindi, quello di dare al detenuto una diversa percezione del sé: “non è più qui per aspettare un tempo di fine pena: è qui per seguire una formazione che gli permetterà di uscire non come ex-detenuto ma come frantoiano esperto, come agricoltore, come comunicatore”. Inoltre, questo scambio va a beneficio non solo del detenuto in sé, ma anche della sua famiglia, dal momento che sta portando avanti un percorso di crescita e apprendimento.
Per quanto riguarda il coinvolgimento delle aziende, invece, Beatrice spera che queste figure specializzate possano essere richieste da altre realtà agricole. “Qui ci sono tanti frantoi gestiti da persone anziane che a un certo punto sono costrette a chiudere attività remunerative perché non hanno un ricambio generazionale. Se potessero contare sull’appoggio di persone formate, forse rimarrebbero aperte. E questo non vuol dire un indotto economico solo per il frantoiano stesso, ma anche per tutta la filiera: per chi fa le bottiglie, ad esempio, o chi si occupa dei macchinari necessari all’olivicoltura. Il che vorrebbe dire mantenere in piedi un tessuto economico – anche micro – ma importante a livello locale”.
Un olio buono e amico dell’ambiente
Venendo al prodotto, Beatrice spiega che “l’olio verrà lanciato a ottobre, massimo novembre, e sarà qualcosa di assolutamente innovativo. “Vorrei andare verso un’agricoltura 4.0, sperimentando un nuovo tipo di tracciabilità, quella blockchain. Gorgona è una piccola realtà circoscritta, in cui non ci sono contaminazioni esterne e le condizioni sono sempre le stesse. Questo permette di fare uno studio di un anno su una realtà importante, per poi magari applicarlo su scala nazionale”. L’idea è di arrivare ad avere un prodotto finale con un riconoscimento specifico che potrà essere utile soprattutto per un consumatore sempre più confuso dai molteplici bollini e certificazioni. “Avere un QR code sulla bottiglia che ti permette in un attimo con un dispositivo mobile di capire da chi è stato prodotto quell’olio, il percorso che ha fatto e l’impronta ambientale è importante. Posso anche produrre l’olio più buono del mondo, ma se ho un impatto ambientale altissimo ho vanificato il beneficio”.
Recto Verso è, quindi, un progetto completo (ora ha anche un sito web), che mira alla creazione di una nuova – micro, per il momento – filiera che tenga conto del rispetto dei lavoratori e della loro dignità, dell’ambiente e della creazione di un prodotto qualitativamente sano e buono, da rivalutare. Per il futuro si spera che Gorgona possa diventare un esempio, una matrice a cui altre realtà, simili e non, possano ispirarsi per andare verso una produzione sempre più etica e sostenibile.
Conoscevate questo progetto? Pensate che l’esperienza che si sta portando avanti a Gorgona possa essere applicata anche in altri luoghi?
L’articolo “Recto Verso”, il progetto per insegnare l’arte dell’olivicoltura (e non solo) ai detenuti della Gorgona. Intervista a Beatrice Massaza sembra essere il primo su Giornale del cibo.