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La presenza di pesci esotici nel Mediterraneo ormai da anni desta l’attenzione riguardo all’impatto sugli ecosistemi, e di riflesso sulla pesca e sulla salute di chi consuma prodotti ittici, come anche di chi fa il bagno al mare. Nel marzo scorso, infatti, si è tornato a discutere di questo tema, a seguito dell’avvistamento a Lampedusa di esemplari di caravella portoghese, creatura oceanica simile a una medusa e molto pericolosa se toccata.
Come vedremo, il riscaldamento globale non è l’unica causa della presenza di creature marine che si ritenevano estranee alle nostre acque. Ma cosa comporta l’insediamento di questi nuovi ospiti, per l’ambiente, per i pescatori, i bagnanti e i consumatori? Dopo aver descritto 50 pesci commestibili sconosciuti, per saperne di più abbiamo coinvolto Valentina Tepedino di Eurofishmarket, veterinaria specializzata in igiene, allevamento e ispezioni alimentari, referente nazionale della Società italiana di Medicina veterinaria preventiva per i prodotti ittici.
Pesci esotici nel Mediterraneo: la fauna ittica sta cambiando
La diffusione di specie esotiche è una realtà che dagli anni Ottanta è andata consolidandosi a causa del riscaldamento dei mari, fenomeno al quale il Mediterraneo, un tempo noto solo per il suo pregiato pesce azzurro, risulta particolarmente soggetto. Talvolta si tratta di creature pericolose, per la presenza di aculei velenosi, oppure tossiche se ingerite, e in generale dannose per gli equilibri ecologici marini. Si parla di pesci, crostacei, molluschi, meduse e alghe, entrati dal Canale di Suez o dallo Stretto di Gibilterra, e la cui sopravvivenza e colonizzazione è stata appunto favorita dal global warming.
Le segnalazioni di specie, dai media definite impropriamente ma efficacemente “aliene”, sono ormai centinaia, animali e vegetali, e in tutto il Mediterraneo ne sarebbero state censite circa 850. In questo senso, l’impatto si può riverberare sulla biodiversità della fauna autoctona, e di conseguenza sulla pesca, con conseguenze economiche difficili da stimare. I danni, come accennato, possono anche essere di natura sanitaria, per i pescatori e i bagnanti che vengono a contatto diretto con questi nuovi ospiti, ma anche per chi inavvertitamente mangia esemplari le cui carni sono tossiche. Non a caso, da alcuni anni il fenomeno è monitorato dall’Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), in collaborazione con Legambiente, con i progetti europei Life ASAP e MPA Adapt.
Quali sono le nuove specie?
Suddividendole tra pesci, crostacei, meduse e alghe, ecco alcune delle specie più diffuse e monitorate per la loro presenza nel Mediterraneo.
Pesci
Dagli anni Novanta sempre più radicato nella fascia mediterranea meridionale, il pesce scorpione (Pterois miles), originario del Mar Rosso, è apprezzato dagli appassionati di acquari per sua livrea striata. Altamente invasivo, lo si teme per i suoi lunghi aculei velenosi, che possono provocare punture molto dolorose, e in alcuni casi reazioni anafilattiche letali. Il veleno, infatti, resta attivo anche fino a 48 ore dopo la morte del pesce.
Il pesce coniglio o sigano (Siganus luridus), anch’esso munito di spine velenose, partendo dall’Oceano Indiano ha colonizzato prima le coste greche e poi quelle siciliane e adriatiche.
Occhio al pesce palla
Tra le specie più discusse parlando di tossicità alimentare, invece, spicca il pesce palla argenteo o maculato (Lagocephalus sceleratus). Le sue carni, infatti, restano pericolose anche dopo la cottura, a causa di una potente neurotossina (tetradotossina) presente sulla pelle, nel fegato e in altri organi, che può uccidere in poche ore dopo l’ingestione. Come se non bastasse, può indurre la paralisi respiratoria e gravi scompensi cardiocircolatori. È riconoscibile soprattutto per la particolare dentatura a forma di becco, con entrambe le mascelle munite ciascuna di denti fusi in due placche, separate da una sutura centrale. Da anni popola le acque mediorientali e nordafricane, e nel 2013 è stato avvistato per la prima volta a Lampedusa, mentre più di recente lo si è trovato anche in Sicilia e Puglia.
Su questa ed altre specie della stessa famiglia (Tetraodontidi), Valentina Tepedino aggiunge che “si tratta di specie tossiche che vivono soprattutto nei mari del Sud-Est asiatico e del Giappone, dove sono numerosissime le segnalazioni di accertata intossicazione. La sua vendita e il suo consumo sono vietati per legge a livello europeo, e non sono infrequenti negli ultimi anni segnalazioni di queste specie pescate anche nel nostro mare e prontamente eliminate dal commercio. In particolare, in Giappone il cosiddetto ‘pesce palla’ è considerato una prelibatezza ed è consentito il suo consumo, ma può essere mangiato solo se lavorato e cucinato da personale specializzato attraverso un percorso specifico molto impegnativo. Questo consente di eliminare le parti anatomiche del pesce che concentrano la tossina. Nonostante ciò, anche a causa di un mercato illegale in Oriente, si verificano ogni anno anche casi con esito letale”.
La veterinaria precisa che “non sappiamo con certezza se il pesce palla che attraverso il canale di Suez sta entrando nel Mediterraneo, ed in esso poi vive e si alimenta, sia effettivamente tossico, ma in ogni caso è vietato. Nei mercati del Sud Italia ci sono state alcune segnalazioni e sequestri, dopo che le autorità di controllo hanno rintracciato queste specie nelle cassette di misto. Ad oggi, fortunatamente, in Italia non ci sono stati casi accertati di intossicazione, non sappiamo se per mancanza di tossicità o per aver evitato il consumo”.
Crostacei
Tra i crostacei, si segnala il piccolo granchio corridore atlantico (Percnon gibbesi), dal colore rosso bruno, presente nel Mediterraneo almeno dal 1999 e spintosi recentemente a Nord fino al Mar Ligure. Risulta nocivo per le specie autoctone ma non per l’uomo, caratteristica che lo accomuna al granchio blu (Callinectes sapidus), di forma ellittica e largo anche più di 20 centimetri, anch’esso proveniente dall’Oceano Atlantico, in particolare dalle coste del continente americano. Ben considerato in ambito gastronomico, dagli anni Duemila ha colonizzato rapidamente gran parte del Mediterraneo centrale. Nelle acque dolci, come abbiamo visto, la diffusione del gambero killer della Louisiana ha avuto una vicenda a tratti analoga.
Meduse e simili
Si ritiene che lo ctenoforo detto “noce di mare” (Mnemiopsis leidyi) possa influire negativamente sulle risorse di pesca, con un impatto non trascurabile sul settore. Di provenienza atlantica, si è diffuso prima nel Mar Nero e nel Mar Caspio e poi nel Mediterraneo. Per limitare la diffusione di questo tipo di organismi attraverso il traffico navale, la convenzione dell’Organizzazione internazionale marittima (IMO) ha reso obbligatorie misure per il trattamento delle acque di zavorra.
La famigerata caravella portoghese (Physalia physalis) appartiene invece ai sifonofori ed è originaria delle fasce tropicali degli oceani. Il nome deriva dal suo aspetto durante il galleggiamento, che ricorda appunto una caravella a vele spiegate. I suoi lunghissimi tentacoli urticanti raggiungono addirittura i 30-50 metri, e sono dotati di una tossina estremamente urticante, capace di causare dolori lancinanti. Carnivora e velenosa, è in grado di uccidere rapidamente pesci e altre prede. Pur essendo raramente letale, la sua puntura può indurre shock anafilattico e anche annegamento, a causa del dolore paralizzante che può provocare. Nel marzo 2021 alcuni esemplari sono stati avvistati poco a largo di Lampedusa, richiamando l’attenzione dell’Ispra e dei media. Le sue punture non possono essere trattate come quelle di una medusa, ma richiedono un intervento medico celere e specifico.
Alghe
Innocue per gli esseri umani ma molto dannose per gli ecosistemi, alcune specie si stanno propagando con velocità preoccupante. La Caulerpa cylindracea, una macroalga verde originaria delle zone tropicali dell’Oceano Indiano e del Pacifico, modifica gli spazi che colonizza, creandosi un vantaggio competitivo rispetto alle specie locali come la posidonia. La sua presenza è stata rilevata sui fondali sabbiosi del Tirreno e dell’isola di Capraia.
Altrettanto invasiva è la Lophocladia lallemandii, capace di ricoprire velocemente le superfici, minacciando l’equilibrio degli ecosistemi.
Nuovi pesci nel Mediterraneo: le cause
In sintesi, ecco perché queste e altre specie aliene hanno raggiunto e colonizzato il Mediterraneo.
- Il riscaldamento globale viene menzionato come il primo degli imputati, infatti il Mediterraneo è regolarmente soggetto a ondate di calore che interessano soprattutto le profondità, dove la temperatura può crescere fino a 2 gradi rispetto alla media. Le acque più calde, chiaramente, consentono alle specie tropicali e subtropicali di sopravvivere e ambientarsi, come abbiamo visto anche occupandoci di pesca sostenibile. Lo Ionio e la fascia sud-occidentale sono le più colpite da questo fenomeno.
- Un’infrastruttura commerciale come il canale di Suez – la cui importanza ci è stata ricordata da un recente incidente navale – permette il passaggio diretto di specie tropicali, provenienti dal Mar Rosso e dall’Oceano Indiano. Valentina Tepedino aggiunge che “da qui come dallo stretto di Gibilterra, e quindi anche dall’Oceano Atlantico, negli ultimi anni si sono monitorati diversi passaggi di specie ittiche che prima non arrivano”.
- Il traffico marittimo – soprattutto quello commerciale, ma anche quello da diporto – è un vettore decisivo per animali e vegetali. La nostra intervistata ha precisato che queste possono essere trasportate a grandi distanze per mezzo delle acque di zavorra, oppure fissarsi alle chiglie e alle carene degli scafi, come nel caso dei molluschi.
Al momento manca ancora una strategia complessiva per affrontare tempestivamente almeno il terzo di questi fattori, il più immediato per la propagazione delle specie marine. Una delle possibili soluzioni consiste nella sterilizzazione delle acque di zavorra, accompagnata dal risanamento delle aree intensamente trafficate. Ad ogni modo, è importante aumentare l’informazione e la sensibilizzazione per chi vive il mare.
Immissioni volontarie per ragioni commerciali: il caso della vongola filippina
Tra i motivi della presenza di nuovi pesci nel Mediterraneo, però, c’è anche l’intervento umano volontario, per scopi commerciali legati alla pesca e all’acquacoltura. Come precisa Valentina Tepedino “alcuni dei casi più eclatanti sono dovuti proprio all’intenzionalità, che in queste contaminazioni ha sempre svolto un ruolo di primo piano. Infatti, diverse specie sono state importate perché ritenute interessanti per l’allevamento e hanno avuto un impatto positivo su vari fronti, altre lo hanno avuto negativo sull’ambiente, o sulla risorsa autoctona, o altro”.
Secondo l’intervistata, “in questa casistica positiva l’esempio più calzante è quello della vongola verace (Ruditapes philippinarum), ossia della cosiddetta ‘vongola filippina’, che oggi rappresenta una risorsa molto importante, essendo la vongola più allevata a livello europeo. La produzione nazionale di vongola verace – che primeggia in Europa – dipende proprio da questa specie originaria del Mar del Giappone, importata negli anni Ottanta anche in Italia e oggi alla base di questo mercato strategico per l’economia ittica del nostro Paese. La nostra vongola verace autoctona (Tapes decussatus), però, non è scomparsa a causa dell’importazione di quella filippina, assai più resistente alle variazioni di salinità, anossia, temperatura, con una maggiore performance riproduttiva e altre caratteristiche che hanno contribuito a renderla uno dei molluschi allevati di maggiore quantità e pregio in Italia. Il mercato della vongola verace autoctona è molto esiguo per la mancanza di prodotto, che comunque ha mantenuto una fascia di prezzo elevata e un target di clienti di riferimento”.
Parlando di pesci d’acqua dolce, ad esempio, “relativamente alle specie di salmonidi autoctoni, e in particolare alle differenti specie di ‘trote’, quella che oggi rappresenta la produzione d’eccellenza per l’Italia, primo produttore europeo per gli esemplari di taglia medio-piccola, è una specie alloctona, ossia ‘aliena’: la trota iridea (Oncorhynchus mykiss). Oggi, ad ogni modo, per allevare servono autorizzazioni costose e molto restrittive, che scoraggiano l’immissione di pesci esotici sia nei nostri mari che nelle nostre acque interne, mentre in passato era molto semplice farlo: ora l’attenzione è alta”.
Inoltre, aggiunge Tepedino, “si sono verificati diversi casi di importazione dovuti alla pesca sportiva, e anche il mercato dell’acquariofilia ha avuto un ruolo, con il rilascio in natura di vari esemplari, di mare e d’acque interne, alcuni dei quali sono riusciti ad adattarsi e a sopravvivere”.
Qual è l’impatto sulla pesca e sulle abitudini alimentari dei pesci ‘alieni’?
In conclusione, veterinaria afferma che “a oggi i pesci esotici nel Mediterraneo non hanno sempre un impatto negativo sulla pesca e sulle risorse. Alcuni di quelli che si sono meglio adattati ai nostri habitat acquatici, peraltro, hanno trovato un loro spazio nel mercato ittico, conquistando di anno in anno sempre più consumatori.”. Altri, invece, sono diventati preda di specie autoctone, come nel caso del granchio corridore atlantico, cacciato molto efficacemente dal pesce ghiozzo paganello (Gobius paganellus), come mostra una recente ricerca dell’Università di Catania, pubblicata su Journal of Marine Science and Engineering. O ancora, “stabilmente presente da oltre vent’anni, il barracuda (Sphyraena spp.), pesce alloctono della stessa famiglia e specie del nostro luccio di mare, ad esempio, viene mangiato e si trova spesso in vendita, in particolare piace molto al mercato extracomunitario, Est-europeo e asiatico: le sue carni bianche sono apprezzate e hanno un buon profilo nutrizionale. I consumatori, in ogni caso, devono sapere che queste specie, prima di entrare in commercio, vengono controllate accuratamente dal punto di vista igienico-sanitario come quelle autoctone, e sono dunque sicure sotto questo profilo. Dal punto di vista commerciale, ognuna ha una denominazione obbligatoria in lingua italiana e una scientifica in latino, entrambe da indicare in corrispondenza dei prodotti a banco per meglio farli riconoscere da chi acquista”.
Un altro esempio di novità degli ultimi anni, aggiunge Tepedino, sono le meduse, per le quali “si è sviluppato un mercato legato alla presenza di immigrati cinesi e asiatici, che hanno cominciato a pescarle e a essiccarle anche in Italia. Me ne sono occupata in ambito di controlli sanitari, perché in quelle di importazione si sono trovate in passato delle non conformità legate al procedimento di essiccazione non semplicissimo, considerando che si tratta di organismi costituiti quasi completamente da acqua. Il prezzo di questi prodotti è elevato, e sicuramente sarà importante legiferare meglio in merito a tutti gli aspetti connessi alla pesca, al controllo, alla produzione e al commercio, anche considerando che nei nostri mari sono presenti differenti specie di medusa”.
Avete mai trovato in vendita nuovi pesci un tempo assenti nel Mediterraneo?
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