Il Philadelphia nasce sulle basi del formaggio quark, ma è diventato talmente famoso da averlo soppiantato quasi totalmente. Spesso lo si usa anche per denominare formaggi spalmabili di altre marche o tipologie. Arrivato dall’America intorno al 1979 e grazie ad un’imponente campagna pubblicitaria, la Kraft è riuscita a renderlo immancabile sulla tavola di molti italiani. Il formaggio di per se non nasconde particolari misteri: è composto da latte vaccino e panna, miscelati con siero e coagulanti estratti da due tipi di alghe, quella rossa e quella bruna. Questo passaggio è indispensabile a dare al formaggio la consistenza cremosa e spalmabile. Questa mistura viene poi pastorizzata, fatta freddare e di nuovo scaldata e centrifugata, per poi venire confezionata nelle forme a noi tutti note.
Consumo di Philadelphia, cosa comporta e quando evitarlo
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Essendo frutto di un processo totalmente industrializzato, il Philadelphia non è certo un formaggio dedicato ai salutisti. Per cominciare è ricchissimo di calorie: ben 343 ogni 100 gr di prodotto. Nello stesso peso troviamo 34 grammi di grassi, e 110 di colesterolo, praticamente un terzo della dose giornaliera massima. Certo apporta anche dei nutrienti, come potassio, calcio e vitamina D, ma ahimè è ricco anche di soio (321 mg) e quindi non ideale per chi soffre di ipertensione o altre patologie cardiache. Sostanzialmente non è un alimento dalle proprietà tali da giustificarne il consumo. Tanto più se si soffre di patologie pregresse; meglio evitare.
Philadelphia e glicemia alta, quali conseguenze
Ma cosa succede a chi mangia Philadelphia con la glicemia alta? In realtà il contenuto di zuccheri presenti nella Philadelphia sono abbastanza trascurabili. Resta il rischio dell’accompagnamento che di solito si riserva a questo formaggio: che sia pane, o cracker, il rischio di introdurre carboidrati insieme a questo formaggio è altino. In ogni caso, oltre a prestare attenzione al supporto con cui mangiate la Philadelphia, in caso di glicemia alta meglio ridurre questa pietanza a 2/3 volte la settimana. Il suo pericolo si nasconde comunque nei grassi, non molto amici di chi soffre di una sindrome metabolica.