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I vegetariani sono più tristi? lo studio che ne spiega i motivi. Incredibile

Secondo i risultati di uno studio brasiliano, i vegetariani e i vegani manifestano episodi depressivi con una frequenza doppia rispetto a chi mangia carne. La causa accertata, invece, non è correlata al tipo di dieta scelta e non è legata a una carenza di vitamine, come la B12, o a una carenza di ferro. Non sono questi i motivi. Secondo Chris Bryant, psicologo e sociologo dell’Università di Bath, intervistato dalla rivista online britannica “The Conversation”, il vegetariano o il vegano hanno una maggiore consapevolezza di tutti i maltrattamenti che avvengono nei macelli nei confronti degli animali che poi vengono uccisi; maltrattamenti che hanno alla base la richiesta di carne al minor costo possibile. Questo provoca pensieri negativi su una situazione reale e fa sentire in colpa anche chi non la consuma. Di fronte a situazioni come questa, che di solito vengono ignorate o rimosse, molte persone moderatamente depresse hanno un atteggiamento più realistico di altre.

Cosa rischia chi mangia carne tutti i giorni della settimana? Ecco la risposta della medicinaUn altro punto importante da considerare: diventare vegetariani o vegani porta spesso all’isolamento sociale o all’ostracismo, oltre che al dissenso o alla derisione da parte degli altri. Lo studio è stato condotto, come già detto, in Brasile, uno dei Paesi con il più alto consumo di carne al mondo, e ha rivelato anche un dato importante: i vegetariani sono più che raddoppiati tra il 2012 e il 2018. (dall’8% al 16%). E con questo, una serie di nuove opportunità per chi sceglie di non mangiare carne. Infatti, chi tra coloro che hanno rinunciato a mangiare “qualsiasi cosa con gli occhi”, come dicono icasticamente i vegetariani, o allo sfruttamento degli animali (vegani), non ha sperimentato forme di pressione o addirittura di bullismo a Natale o a Pasqua, durante i pasti in famiglia o in situazioni conviviali, se non si trovava con chi aveva fatto la sua stessa scelta? (“Non consumi carne? E allora cosa mangiano quelli come te?”). Peggio ancora, chi non ha mai notato sul volto dei commensali un imbarazzo mascherato da disappunto? E, da italiani, quante volte abbiamo visto ristoratori imporre “spaghetti” o, peggio, “verdure grigliate” a un cliente dopo che questi aveva espresso la sua preferenza alimentare? Un modo sbrigativo per togliersi di torno chi pianta grane senza considerare che vegani e vegetariani hanno rinunciato alla sofferenza animale ma non al gusto.

Lo psicologo britannico, che da anni si interroga su quanto l’altruismo possa avere un ruolo nella riduzione della sofferenza animale, suggerisce che potrebbe esserci una terza ragione – visto che la ricerca dovrebbe essere condotta in più Paesi, come l’India, e su campioni più ampi (solo 82 dei 14.000 brasiliani intervistati erano vegetariani). Secondo l’articolo, chi ha scelto di non mangiare carne è anche abituato a vedere nei macelli e negli allevamenti immagini di violenza che altri solitamente non vogliono vedere o non conoscono, anche a causa del meccanismo di rimozione che induce, ad esempio, l’assoluta “sterilità” della fetta di carne esangue confezionata in vaschette colorate e foderate di cellophane. Scene di film come “Dominion” o “Earthlings”, che documentano la continua violenza sugli animali perpetrata dall’industria della carne, ne sono un esempio e, secondo il ricercatore, queste scene, unite al fatto che ciò che ogni vegetariano o vegano può effettivamente fare per evitarla è molto poco, possono causare depressione. Può essere confortante sapere che ciò che accade agli animali in queste situazioni “non è nel mio nome”, ma il realismo ci dice che solo una più ampia consapevolezza può fare la differenza. Resta comunque da vedere, magari in un campione più ampio e in Paesi in cui la scelta è numericamente più significativa, quanto il “pessimismo” cosmico sia davvero associato alla decisione di permettere agli animali di vivere.

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