Quanto ci è mancato, durante il lockdown! In un periodo nel quale abbiamo dovuto rivedere le nostre abitudini e modificare le nostre priorità, ci siamo resi conto – semmai ve ne fosse stato bisogno – di quanto sia radicato nella nostra cultura il concetto di aperitivo, quale momento di socialità e lifestyle. Non casualmente, proprio su questo vero e proprio rito collettivo si è imperniata l’iniziativa di co-marketing organizzata dal Consorzio Tutela Prosecco DOC, insieme a Samurai e Saclà.
TPI ne ha parlato con Luca Giavi, profondo esperto della materia. Professore in molti istituti professionali del Veneto egiornalista presso la società editoriale San Marco, per dieci anni è stato Direttore del Consorzio del Radicchio rosso di Treviso e variegato di Castelfranco. Dal 2014 è Direttore del Consorzio Tutela Prosecco DOC e la sua strategia punta molto sulla collaborazione con soggetti che obiettivi similari: “L’idea di un’azione di co-marketing con Samurai e Saclà ci è piaciuta subito, anche perché andava nella stessa direzione intrapresa collaborando con altri consorzi agroalimentari allo scopo spingere il momento dell’aperitivo come una peculiarità tipicamente italiana, che non ha uguali nel mondo. Abbiamo ritenuto che fosse bello farlo insieme ad altre realtà associate all’Italia, che collaboravano nell’associazione di questo messaggio”.
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L’abitudine dell’aperitivo, tuttavia, è stata duramente colpita nel corso del lockdown. Come si riparte, dopo uno stop del genere?
“Pensando che il colpo è stato molto duro, questo è vero, ma anche che l’aperitivo è stato uno di quei rari momenti di condivisione anche a distanza, sui social, per mantere i contatti con amici e familiari durante il lockdown. Questa modalità è stata così diffusa che le piattaforme hanno dovuto allargare il collegamento a più utenti contemporaneamente: ad esempio, WhatsApp ha dovuto aumentare il numero di collegamenti in una stessa sessione, che inizialmente era fermo a questo. Inoltre, la ripresa degli apertivi è stato l’evento che ha segnato con maggior forza il ritorno alla normalità, sia perchè c’è voglia di socialità, sia perché consente di non rimanere a lungo in locali chiusi e affollati, avendo tempi diversi da una cena. Locali e American Bar hanno ripreso le attività prima dei ristoranti, per via del significato che ha, specialmente in Italia, il momento dell’aperitivo: è l’occasione di ritrovarsi dopo una giornata di lavoro, prima di tornare a casa per la cena, che a causa del Covid è sempre più spesso consumata in casa”.
Quali saranno gli altri pilastri sui quali fondare la ripresa del settore?
“Stiamo dialogando con i settori messi più in difficoltà, come la ristorazione e in particolare le pizzerie. Quest’ultimo mercato sta avendo una crescita inedita e ci interessa molto anche perché nel contesto della ‘ristorazione moderna’ spicca per il ‘piatto unico’ per eccellenza, che è appunto la pizza, soprattutto in Italia. Si è capito che non si tornerà alla normalità pre-crisi, almeno nel breve, ma ci sarà un modo divrso di fruizione del cibo, compreso l’home delivery e il take away, ma con modalità diverse, ad esempio con piatti da impiattare e finire in casa. Noi insistiamo molto sul fatto che negli ordini sia inclusa anche la bottiglia più adatta, consegnata alla temperatura giusta. Ci piace collaborare con tutti, senza trascurare nessuno. Ad esempio gli imbottigliatori e i produttori che afferiscono alla GDO beneficiano del fatto che questo settore va bene, mentre i nostri seguono percorsi distributivi diversi e dobbiamo dare una risposta anche a loro”.
Quanto è costato il lockdown al vostro settore?
“Non possiamo fare una stima, perché non abbiamo ancora i dati. Ad esempio per quanto riguarda l’export i dati ci vengono comunicati con circa tre mesi di scarto. Stiamo quindi analizzando i dati fino a aprile: guardando dal lato della produzione, fondamentalmente abbiamo chiuso il primo semestre in pareggio rispetto all’anno precedente, ovvero i 12 mesi terminanti a giugno 2019. Questo però non significa che non abbiamo avuto danni dal Covid, ma anzi che esso ha eroso la crescita che avevamo previsto per il 2020 e che fino a febbraio/marzo si stava effettivamente verificando. Pur essendosi perso un anno di crescita, è comunque una situazione molto fortunata, rispetto al panorama complessivo del mercato dei vini, che ha avuto perdite notevoli”
Quali sono le previsioni per il prossimo futuro?
“Sono fiducioso. Se guardiamo all’export, i primi quattro mercati (USA, Regno Unito, Germania e Francia) assorbono circa il 75% delle nostre esportazioni. Quindi se sapremo lavorare su un ampliamento dei mercati spingendo in zone come Nord Europa, Russia ed Estremo Oriente (nel quale continuo a credere, anche se i dati per ora non mi danno ragione), avremo margini notevoli. Contiamo anche sull’aiuto che ci potrà dare l’introduzione del disciplinario di produzione della tipologià rosè, che nel nostreo territorio esiste da diversi anni, ma che prima non era mai stata inserita. Penso ci aprirà nuovi sbocchi commerciali molto interessanti”.
Qual è il vostro committment in termini di sostenibilità?
“Continuiamo a lavorare con impegno anche su questo tema, per riscontrando molte resistenea. La sostenibilità deve intendersi sia dal punto di vista ambientale, che economico e sociale, perché deve essere condivisa con i territori di produzione e con le persone escluse dal nostro sistema produttivo, con le quali bisogna invece dialogare. Il nostro impegno su questo fronte è totale e speriamo che venga compreso e accolto”.