C’è un legame forte tra il mare Adriatico e gli storici abitanti della sua riviera. Lo testimoniano le località con porti ancora brulicanti delle imbarcazioni dei pescatori, che salpano di notte con la loro attrezzatura di reti, corde e galleggianti. E lo conferma anche la tradizione culinaria, che conta su tante specialità in cui il pesce è protagonista. Tra queste però vogliamo oggi soffermarci sul cosiddetto “pesce povero”, cioè tutte quelle specie che in passato erano considerate meno pregiate e che quindi rimanevano spesso invendute, finendo col diventare la base di tante ricette destinate a soddisfare le famiglie meno abbienti. Tra sarde, saraghi, suri e boghe, ma anche crostacei, come canocchie e canolicchi, e molluschi, quali, ad esempio le vongole “poveracce”, vi porteremo a scoprire il pesce povero dell’Adriatico e i piatti in cui è protagonista.
Pesce povero del Mar Adriatico: una risorsa per tutti
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Il mare Adriatico è noto per essere molto pescoso, ovvero popolato in ogni stagione da tante varietà di pesci commestibili. È da qui che arriva la maggior parte del pescato venduto sui banchi di supermercati, mercati e pescherie. Secondo il report di BMTI del 2018, ben il 47% delle specie catturate in Italia proviene dall’area centro-settentrionale dell’Adriatico. Un mare che ha sempre rappresentato una grande risorsa per gli abitanti delle località costiere, dal Veneto all’Abruzzo, passando per le Marche e soprattutto l’Emilia-Romagna. A queste latitudini, dunque, la pesca è da sempre fonte di sostentamento e non soltanto per quanto guadagnato attraverso il commercio. Se il principale scopo dei pescatori è, infatti, quello di vendere il frutto del loro lavoro, tutto il pesce invenduto diventava, soprattutto in passato, elemento destinato a sfamare intere famiglie. A testimonianza di questo, tanti piatti della tradizione come le sarde in saor veneziane, la zuppa con le “poveracce” e, su tutti, sua maestà il brodetto. Andiamo a scoprirli insieme.
Sarde, saraghi e sugarelli: il pesce azzurro protagonista
Il Mediterraneo è notoriamente serbatoio di pesce azzurro, specie molto rivalutata negli ultimi anni, soprattutto per le proprietà nutrizionali e l’alto contenuto di omega-3. Il mare Adriatico da questo punto di vista non fa certo eccezione, con le sue acque che abbondano soprattutto di sarde, protagoniste di tante specialità gastronomiche. A partire dalle sarde in saor, tipiche della cucina veneziana. La tradizione prevede che vengano prima passate in una leggera infarinatura e fritte, poi disposte a strati, tipicamente in una terrina, e infine cosparse con una marinatura a base di cipolla in agrodolce. Questo accorgimento, che permette di conservarle per qualche giorno, ne ha fatto il pasto tipico dei pescatori che dovevano salpare in mare per lungo tempo. L’antica ricetta, le cui prime tracce risalgono al XIV secolo, si è evoluta nel tempo, al punto che oggi prevede l’aggiunta di uvetta e pinoli. Per apprezzarle al meglio vanno consumate a distanza di almeno un giorno dalla preparazione, così da permettere ai sapori di legarsi. Attualmente le sarde in saor non sono più considerate un piatto povero, ma anzi una delle specialità più ricercate della cucina veneta.
Spostandosi più a sud, con particolare riferimento alle Marche e alla Romagna, è tipico cospargere le sarde con una panatura di pangrattato, olio, aglio e prezzemolo e, una volta infilzate con uno spiedo, cuocerle alla brace. Un’abitudine un tempo diffusa tra i pescatori, oggi spesso sostituita dalla cottura al forno, più pratica e alla portata di tutti.
Infine, sempre restando sul litorale romagnolo, le sarde incontrano una delle specialità più rappresentative della cucina povera del territorio: la piadina. Sarde, radicchio verde e cipolla è una delle farciture più tipiche delle località affacciate sul mare.
Rimanendo in tema di pesce azzurro, vale la pena di citare anche la saraghina. Si tratta di una specie simile alla sarda, ma dalle squame più piccole e fitte soprattutto sul ventre. È conosciuta anche con l’appellativo di “papalina”, per identificare le acque dell’alto Adriatico, che un tempo coincidevano coi possedimenti dello stato pontificio. Abbondano soprattutto in primavera, tra marzo e aprile, periodo migliore per apprezzarne le carni. In cucina si presta sia alle stesse preparazioni delle sarde, sia alla pressatura e stagionatura in appositi contenitori di legno per ottenerne una colatura, simile a quella di alici, molto sapida e versatile.
Diversamente il suro o sugarello presenta dimensioni maggiori, capaci di raggiungere i 30-40 centimetri di lunghezza, e un corpo verde-grigiastro. Abbonda soprattutto in estate, quando può essere pescato anche in prossimità della costa, ed è molto apprezzato in cucina. Polposo e facile da spinare, si presta sia a preparazioni al forno che in padella. Tra le ricette tipiche, il sugarello all’acqua pazza, ovvero cotto a fiamma moderata in un intingolo di olio EVO, aglio, cipolla e peperoncino, cui si aggiungono dei pomodorini e una manciata di prezzemolo tritato fresco, e i sugarelli ripieni. In questo caso i pesci, opportunamente sfilettati, vengono farciti con un composto di pangrattato, parmigiano grattugiato, vino bianco e maggiorana o rosmarino e infornati a 180° per circa 25 minuti.
Dagli “uomini nudi” ai rossetti
Lungo il litorale romagnolo può frequentemente capitare che si senta parlare di “uomini nudi”. Tranquilli, non c’è da preoccuparsi, almeno per quanto riguarda l’ambito culinario. Con questo curioso nome ci si riferisce, infatti, a dei piccoli pesci dal corpo traslucido. Noti anche come bianchetti, non sono altro che specie di pesce azzurro allo stadio giovanile, che si presta bene a essere fritto o come ripieno di frittelle o frittate. Tuttavia, da qualche anno è vietata la pesca e vengono sostituiti dai rossetti, simili nell’aspetto. A differenza dei primi, però, non sono avannotti appena nati ma esemplari adulti (lunghi al massimo 6 cm) e possono essere pescati e commercializzati solo in determinati periodi dell’anno.
Cannolicchi, il tesoro nascosto nel fondo del mare
La pescosità dell’Adriatico non si esaurisce alle sole acque. Persino sotto il fondale si nasconde una risorsa sconosciuta ai più, ma ben nota agli abitanti locali. Si tratta dei cannelli, detti anche cannolicchi, curiosi molluschi bivalvi dalla forma tubolare, lunghi circa 12-13 centimetri, che vivono sprofondati nel fondo sabbioso del mare. Si pescano più agevolmente nei momenti di bassa marea, tramite un lungo tubo metallico verticale. Il guscio racchiude una polpa sapida, che ben si presta sia a essere consumata cruda, previo abbattimento termico, sia a varie preparazioni in cucina. Saltati in padella con un soffritto di aglio, olio e prezzemolo, gratinati al forno oppure cotti al vapore e conditi con una delicata marinatura di limone, sale e pepe costituiscono un ottimo antipasto. Trovano spesso impiego anche nei primi piatti, come il risotto coi cannolicchi: dopo averli fatti soffriggere in un intingolo di olio, aglio, origano e capperi, vengono aggiunti al riso negli ultimi minuti di cottura.
Vongole: povere nel nome ma non nel gusto
Nel dialetto romagnolo sono chiamate puràzi, letteralmente “poveracce”: sono le vongole comuni, quelle che storicamente hanno costituito il mangiare dei poveri. Quando le acque si ritiravano a seguito di una mareggiata, lasciavano sul fondale seppie, cannocchie, granchi e, appunto, vongole. Se ne poteva dunque approfittare per fare un buon bottino a costo zero per soddisfare anche le famiglie più numerose. Questa facilità nel reperirle ha fatto sì, inoltre, che il prezzo di vendita al dettaglio fosse davvero economico, coi pescivendoli che le smerciavano andando, in bici o addirittura a piedi, di strada in strada. Tra le preparazioni più tradizionali, troviamo la zuppa di vongole alla marinara: un piatto semplice in cui i molluschi vengono fatti aprire in casseruola, insieme a un intingolo a base di olio, aglio e eventualmente un po’ di pomodoro a pezzetti, e poi portati a lenta cottura con l’aggiunta di vino bianco e infine impreziositi con una manciata di prezzemolo. È tipico servire la zuppa con dei crostoni di pane bruschettato. Le “poveracce” sono, tuttavia, protagoniste di altri primi piatti in cui incontrano paste della tradizione, come ad esempio gli strozzapreti.
Boga, un pesce sempre in voga
Altra specie ittica poco conosciuta al “grande pubblico”, ma assai familiare agli abitanti delle località costiere è la boga. Pesce dalle curiose sfumature sul dorso, che variano dal giallo-verdognolo all’azzurro, e di lunghezza generalmente intorno ai 20 centimetri, è diffuso in tutto il bacino del Mediterraneo, ma soprattutto nell’Adriatico. Vive in branchi numerosi, che nuotano anche in vicinanza delle coste e si pesca soprattutto nel periodo estivo. In cucina, trova molto spazio nelle zuppe, ma può diventare protagonista anche di gustosi risotti.
Brodetto: tutto il buono del mare in un piatto
Il piatto che meglio di tutti rappresenta la cultura del “pesce povero” è senza dubbio il brodetto. Lo si trova a ogni latitudine del litorale adriatico e in particolare tra Emilia-Romagna, Marche e Abruzzo. Questo piatto può presentare delle diversità a seconda della zona, ma la sua genesi è comune e riporta a quel “fare di necessità virtù” tipico dei ceti meno abbienti. Il brodetto nasce, infatti, nelle case dei pescatori e altro non è che una zuppa di mare preparata con tutto il pescato del giorno rimasto invenduto. Quando poi la quantità di pesce a disposizione risultava piuttosto scarsa, si abbondava con il pomodoro, in modo da avere quantomeno un sugo ricco e capace di soddisfare l’intera famiglia. Da tradizione, il brodetto veniva servito nello stesso tegame di terracotta in cui veniva cucinato e lasciato direttamente a centro tavola, in modo che ognuno vi potesse attingere. A comporre il piatto si trovano di solito molluschi, come le seppie, crostacei (lumache, cozze, cannocchie) e pesci quali sogliola, gallinella, razza, triglia e palombo. L’aspetto più importante della preparazione è tenere in considerazione i diversi tempi di cottura richiesti dai vari ingredienti.
La cultura del brodetto è particolarmente radicata in Abruzzo, con il “brodetto alla giuliese” di Giulianova, località costiera del teramano, e nelle Marche, come vi abbiamo raccontato. Qui ne esistono tante note versioni locali, tra cui: anconetano, fanese, sambenedettese e portorecanatese. Quest’ultimo, in particolare, si distingue dagli altri per essere in bianco, ovvero senza pomodoro, ma con una base di olio, cipolla e vino bianco impreziosita dall’aggiunta dello zafferano. Se questo aspetto non lo fa vedere come “piatto povero”, lascia tuttavia supporre che possa essere nato prima degli altri. Il pomodoro, infatti, è stato introdotto in Italia solo dopo la scoperta delle Americhe. Ad ogni modo, il brodetto portorecanatese è legato all’estro di Giovanni Velluti, che nell’Ottocento ha saputo farne conoscere e apprezzare la ricetta dapprima nel suo ristorante e poi addirittura inscatolandolo e spedendolo in tutta Italia. A Porto Recanati esiste addirittura l’Accademia del Brodetto, nata proprio allo scopo di tutelare e valorizzare questa specialità e il suo legame col territorio.
Si conclude così questa breve carrellata sul pesce “povero” dell’Adriatico e dei piatti nati da questa cultura e tramandatesi fino ad oggi. Tra quelli che vi abbiamo proposto e le altre specialità che per ragioni di spazio non abbiamo potuto citare, quali avete nel cuore?
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