Ti potrebbe interessare anche:
Lavoro grigio, sfruttamento, violazione dei diritti e, in alcuni casi, anche forme di violenza. Questi sono alcuni degli elementi comuni al lavoro nel settore agricolo in Italia, Grecia e Spagna secondo quanto emerge dal rapporto E(u)xploitation: Il caporalato: una questione meridionale. Italia, Spagna, Grecia realizzato dall’associazione Terra! e presentato lo scorso 24 febbraio.
Le condizioni dei braccianti, dunque, sono simili nei tre Paesi analizzati. “Lo sfruttamento del lavoro è una piaga connessa a un’economia di filiera fragile, che vive di informalità” ha dichiarato in occasione della presentazione Fabio Ciconte, direttore di Terra!, che ha curato la sezione dedicata all’Italia insieme a Stefano Liberti. “Questa è una realtà non solo nazionale ma europea. Ecco perché chiediamo che l’Europa si faccia carico con maggiore determinazione delle condizioni sociali ed economiche dei lavoratori agricoli, costretti a vivere in condizioni di invisibilità e precarietà estrema”.
Per conoscere ciò che accade in Spagna, e in particolare nell’area di Murcia e della Huelva (una provincia andalusa) dove viene coltivata e raccolta frutta per tutta l’Europa, abbiamo intervistato la giornalista freelance Mariangela Paone, curatrice della sezione spagnola del rapporto.
Sfruttamento dei braccianti e violenze: la situazione in Spagna
Murcia è nota anche come la “huerta de Europa”, ovvero l’orto d’Europa, in virtù dei 470.000 ettari di terreni dedicati all’agricoltura. Ma in questa terra così fertile, nel 2019 il 75% dei contratti per i lavoratori e le lavoratrici del settore è stato fatto tramite quelle che in Spagna si chiamano ETT, ovvero delle agenzie interinali, una questione comune anche a Germania, Svezia e Paesi Bassi come evidenziato da un recente rapporto della Open Society Foundation. Si tratta di 490.000 contratti che celano condizioni di lavoro non degne e una profonda precarizzazione del settore agricolo che mette il bracciante nella situazione di accettare qualsiasi condizione pur di poter guadagnare qualcosa e, spesso, mantenere il permesso di soggiorno.
La seconda area indagata da Paone è la Huelva, una provincia in Andalusia famosa per la coltivazione di fragole e altri frutti rossi. Qui la manodopera agricola stagionale è prettamente femminile e di origine marocchina. Nel rapporto, si spiega come le lavoratrici siano assunte secondo il sistema della contratación en origen: in base al numero di persone di cui c’è bisogno per la raccolta, vengono reclutate direttamente nel paese d’origine, e quindi in Marocco, portate in Spagna per lavorare e poi rientrare a casa. Associazioni e sindacati, però, denunciano come questa pratica – adottata anche a modello europeo – nasconda forme di discriminazione nei criteri di selezione del personale e che le donne braccianti siano sistematicamente vittime di violenza.
Come spiega la giornalista, quanto accade in queste aree della Spagna ha un impatto su scala europea: da un lato perché i “modelli” di impiego e le agenzie interinali sempre più spesso sono condivisi su più Paesi, dall’altro perché la frutta e gli ortaggi coltivati in Spagna o in Grecia sono consumati anche altrove. A testimonianza di come quanto accade nei campi ha sempre un effetto anche su ciò che si consuma nel piatto.
Leggi anche
L’articolo Mariangela Paone sul caporalato in Spagna: “Lo sfruttamento dei lavoratori in campo agricolo è una questione europea” sembra essere il primo su Giornale del cibo.